Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.
(Bertolt Brecht)

giovedì 26 dicembre 2013

Merry Christmas, mister President

Fonte





Oggi è Natale, tempo di favole.
C'era una volta.... un re, direte voi. No, c'era un presidente della Repubblica. In quel Paese la monarchia non esisteva da tempo. Questo presidente era un uomo molto anziano, con le fattezze di un re scomparso. Il suo portamento, nonostante l'incedere dell'età, era regale, altero. Pur non essendo un re, regnava come un re. Viveva in una reggia che superava per sfarzo i palazzi dei reali d'Europa. Come un regnante nominava i suoi primi ministri, sempre però con il massimo rispetto delle istituzioni repubblicane, da lui perfettamente incarnate. La vita del presidente si era svolta da sempre nei palazzi del regno, pardon della Repubblica, sin dalla sua giovinezza. La sua presenza in quei luoghi datava ad anni lontani quando la maggior parte dei suoi sudditi, pardon cittadini, non erano ancora nati e regnava su tutte le Russie un tiranno di nome Stalin che, per alcuni, era un sincero democratico. Il vecchio signore era una presenza intramontabile. Rassicurante. La parola del presidente era sacra, inviolabile, non poteva essere udita dai magistrati. Quando ciò accadeva e una sua conversazione con un indagato veniva registrata, il presidente faceva cancellare i nastri. Il suo nome, come quello di Dio, non poteva essere nominato invano neppure nelle assise parlamentari. Il presidente non aveva data di scadenza, pur prevista nella Costituzione, e si faceva rieleggere, per il bene del Paese. Alla sua seconda rielezione contribuì un signore pluri indagato, pluri processato, che venne condannato in via definitiva e poi allontanato dal Senato. Ma il vecchio presidente come poteva saperlo? Era quasi immortale, da lui però non si poteva pretendere anche l'onniscienza. Che sapesse ciò che tutti sapevano. Il presidente si credeva indispensabile, unico baluardo prima dello sfascio della nazione, argine insostituibile. Si circondava, come un vero re, di corti di saggi scelti con estrema oculatezza che avrebbero dovuto riscrivere le regole. Dettava le condizioni del suo permanere ai primi ministri, ridotti alla stregua di gran ciambellani. Più invecchiava, più capiva che lui, solo lui, poteva invertire un percorso che si annunciava autodistruttivo. Non capiva perciò la contrarietà e perfino l'astio che molti dei cittadini gli rivolgevano. E' vero che non si era opposto energicamente ad alcune leggi vergogna, come il lodo Alfano che persino un bimbo avrebbe bocciato come incostituzionale e che si era preso libertà che sconfinavano dal suo ruolo, ma era per il bene supremo del Paese. Ogni anno a Capodanno, da tempo immemore, il presidente faceva un discorso al popolo. Questa tradizione si ripete forse l'ultima volta. A gennaio lo aspetta una richiesta di impeachment per la sua decadenza. Un atto spiacevole verso chi ha dedicato la sua intera esistenza alla patria. Un atto da parte di una forza politica a lui forse ignota, della cui presenza non si era accorto, il presidente non sentiva infatti i boom. L'impeachment è un atto d'amore per consentirgli di godere un meritato riposo con la sua famiglia e di trascorrere serene giornate sulle panchine del Pincio con dei vecchi amici. Chissà se ringrazierà. Merry Christmas, mister President.

martedì 24 dicembre 2013

Buone Feste


sabato 14 dicembre 2013

giovedì 12 dicembre 2013

Alla Camera continua la disinformazione | Roberto Perotti


http://www.lavoce.info/costi-della-camera-fondo-di-sostenibilita-tra-onorevoli-deputati/
La Camera annuncia di “rinunciare” a 50 milioni dallo Stato. Ma se ne fa trasferire 40 da un altro fondo. Annuncia anche tante misure di risparmio: alcune sono minime, molte false. E tace sui tanti aumenti di spesa. Risultato: la spesa continua ad aumentare.
Carlo passa tutto il giorno al bar e non ha voglia di lavorare. Solo per sigarette e alcol spende 20 euro al giorno. E’ mantenuto dalla moglie Alice, che prima di andare a lavorare gli lascia 20 euro sul tavolo della cucina. Un giorno Carlo annuncia che ha capito di avere sbagliato, e che cambierà vita. Ma dopo tre anni Carlo ricomincia a chiedere 20 euro al giorno. Alice, costernata, chiede agli amici, e scopre l’ amara verità: Carlo non ha mai smesso di fumare e bere. Semplicemente, per tre anni si è pagato alcol e tabacco attingendo al fondo che lui e Alice avevano messo da parte per la pensione. Ora Alice si arrabbia davvero: non solo Carlo non ha “risparmiato” un bel niente, ma ha sprecato questi tre anni in cui avrebbe potuto imparare a disintossicarsi, invece di imbrogliarla con la favola del risparmio.
La Camera dei Deputati ha fatto esattamente come Carlo. Ha annunciato con grande fanfara di aver “risparmiato” 60 milioni rispetto all’ anno scorso, riducendo la richiesta allo Stato – la “Dotazione annuale” – di 50 milioni, e restituendo allo Stato 10 milioni “risparmiati” l’ anno scorso.
UN MISTERO NASCOSTO NELLE PIEGHE DEL BILANCIO
Tutti questi “risparmi“ sono sospetti, perché di fatto la spesa della Camera è destinata ad aumentare, secondo il suo stesso bilancio, tra i 10 e i 140 milioni, a seconda che si guardi agli impegni di competenza o ai pagamenti di cassa. La soluzione del mistero è nascosta nelle pieghe del bilancio della Camera. E ci dice che in realtà entrambi i “risparmi” del 2013 sono inesistenti.
Primo, la Camera chiede 50 milioni in meno di Dotazione annuale, ma si guarda bene dal dire che in compenso si fa trasferire 40 milioni dal Fondo di solidarietà fra gli onorevoli deputati – un fondo poco conosciuto che serve principalmente a finanziare le indennità di fine mandato, e che sono sempre soldi dello Stato, cioè del contribuente. Il risultato netto per il contribuente è ovviamente quasi zero. (Per inciso, la stessa “restituzione” è prevista per il 2014 e il 2015: dato che il Fondo aveva un patrimonio netto nel 2012 di 180 milioni, questi trasferimenti ben presto esauriranno il Fondo).
Secondo, il “risparmio” di 10 milioni restituito allo Stato è in realtà una cifra che era stata stanziata nel 2012 e poi mai effettivamente restituita allo Stato, e messa come residuo del 2012 (che si trattasse di un risparmio reale già nel 2012 stesso è dubbio, ma questo è un altro discorso).
LA STRANA ALGEBRA DELLA CAMERA
Dunque non ci sono “risparmi”: né potrebbe essere altrimenti, perché la spesa della Camera aumenterà. Eppure, si obietterà, la Camera ed il suo Presidente, On. Boldrini, hanno continuato a snocciolare esempi di minori spese. Il sito della Camera ha persino una intera pagina web dedicata a “Riduzione delle spese”. Per evitare ingiustizie, vediamo i due documenti separatamente, relativi a questa e alla precedente legislatura.
In questa legislatura, la Camera elenca sette provvedimenti di riduzione di spesa, che quantifica in totale a 8,5 milioni. Commendevole, e meglio di niente. Ma accanto a questi piccoli risparmi, vi sono tanti casi di aumento di spesa – a cominciare dall’enorme aumento di 20 milioni, che ho documentato nella seconda puntata, delle spese per informatica. La spesa totale, che è ciò che interessa al contribuente, aumenta.
Ma il problema è che a questo punto è difficile fidarsi di tutto quello che esce dalla Camera. Si prenda una delle sette misure, la “Soppressione dei fondi forfetari di rappresentanza previsti per i singoli titolari di cariche interne; riduzione del 50 percento degli stanziamenti complessivi per le spese di rappresentanza effettuabili per finalità istituzionali; obbligo di rendicontazione per queste spese.” Chiunque legga questo passaggio ha diritto di pensare che le spese di rappresentanza della Camera diminuiranno. Tuttavia, le spese totali per rappresentanza (dal capitolo 205 del bilancio) passano da 482.000 euro di impegni e 665.000 euro di previsione nel 2012 a 673.000 euro nel 2013. Qualcuno dovrà spiegare che algebra viene usata alla Camera.
Ugualmente, e forse più, fuorviante è il documento della Camera del 20 Dicembre 2012, quindi della precedente legislatura. Ecco i due “risparmi” principali.
“Riduzione dell’8,60 per cento della spesa per i deputati” (p. 5). Questi sono i numeri ufficiali:
La riduzione dell’ 8,6 percento si riferisce presumibilmente al raffronto tra previsione di cassa 2013 e previsione di cassa 2012 (1): ma se abbiamo già il dato effettivo del 2012, che ragione c’è di usare la previsione (rivelatasi sbagliata) per un raffronto? I dati rilevanti sono le ultime due righe: nel primo caso la spesa aumenta, nel secondo scende dell’ 1,5 percento. E come potrebbe essere altrimenti? Nessun provvedimento sostanziale è stato preso per ridurre la spesa per deputati nel 2013.
“Riduzione di circa il 25 per cento a decorrere dal 2012 del capitolo di spesa per la locazione di immobili (oltre 14 milioni).” (p. 9) Anche qui, i numeri ufficiali sono:
La spesa per locazioni aumenterà dunque di oltre 4 milioni. Riduzione del 25 percento?
Tutto questo non è una questione di puntiglio contabile. La politica italiana non si è resa conto che ci vuole un segnale forte: la Camera deve ridurre la spesa di 200 milioni, veri e subito. Non basta annunciare con squillo di tromba misure da 2 o 3 milioni, peraltro largamente incomprensibili come “la ridefinizione delle regole di utilizzo delle autovetture di servizio da parte di deputati titolari di cariche interne”. Se poi il risparmio non c’è del tutto, e anzi la spesa continua ad aumentare, allora per il cittadino al danno si aggiunge la beffa. E quando la corda si spezza, le conseguenze sono imprevedibili.
Leggi la puntata precedente “La Corte Costituzionale: uno scandalo nascosto” o vai allo Speciale con tutte le altre puntate
(1) La riduzione non è esattamente dell’ 8,6 percento presumibilmente perché all’ epoca della compilazione del documento (dicembre 2012) la previsione per il 2013 era diversa.

Le quote di banca d'Italia | Angelo Baglioni


http://www.lavoce.info/quote-bdi/
La Banca d’Italia diventerà una public company con un semplice decreto del Governo. Sono sicuri, Letta e Saccomanni, di fare questa discutibile riforma storica nell’interesse degli italiani?
Nel paese dove le imprese hanno una proprietà concentrata e dove si difende a oltranza l’italianità delle imprese “strategiche” (a cominciare da Alitalia), il Ministro del Tesoro si vanta di avere fatto diventare Banca d’Italia una public company. Il decreto legge approvato il 27 novembre stabilisce infatti che “ciascun partecipante al capitale non potrà possedere – direttamente o indirettamente – una quota di capitale superiore al 5 per cento”. I soggetti, italiani ed europei, autorizzati a detenere quote nella Banca d’Italia saranno “banche, fondazioni, assicurazioni, enti ed istituti di previdenza, inclusi fondi pensione”. Così si legge nel comunicato stampa del Ministero. Ma chi ha detto che gli italiani vogliono che la loro banca centrale diventi una public company? Senza il minimo dibattito politico, si è proceduto per decreto ad una riforma storica dell’assetto proprietario e della governance della Banca d’Italia. Il governo non si è preoccupato di dire nulla sulle possibili conseguenze del fatto che le quote di partecipazione nella nostra banca centrale diventeranno liberamente trasferibili, cioè scambiabili sul mercato. Il fatto che siano riservate a intermediari finanziari europei non è una grande garanzia, visto che questi soggetti possono essere a loro volta controllati da altri soggetti, anche di altra natura e non europei. Il limite del 5 per cento può essere aggirato attraverso accordi che consentano a un gruppo di proprietari di coordinarsi tra di loro. La legge del 2005 (mai attuata), che prevedeva il trasferimento allo Stato della proprietà della Banca d’Italia, è stata cestinata. Tutto questo perché? Per consentire al Tesoro di incassare un gettito immediato (di circa 1,2 – 1,5 miliardi) tassando la plusvalenza realizzata dalle banche sulle loro quote nella banca centrale. Da parte loro, le banche migliorano, grazie alla plusvalenza stessa, i ratios patrimoniali. Peraltro, l’onere fiscale immediato verrà recuperato nel giro di tre/quattro anni, visto che la remunerazione (massima) del capitale passerà a 450 milioni l’anno (rispetto ai 70 milioni del 2012). Mentre si dibatte all’infinito di come tassare la prima casa e di quando/se fare decadere un evasore fiscale dalla carica di senatore, nessuno (governo, politici, media) si preoccupa di discutere sul fatto che chiunque potrà comprarsi un “pezzo” della Banca d’Italia. Un’eccezione: lavoce.info

PX


martedì 19 novembre 2013

Lo sguardo di Eva


venerdì 1 novembre 2013

Dylan Dog


mercoledì 30 ottobre 2013

domenica 20 ottobre 2013

Edward R. Murrow


domenica 13 ottobre 2013

EVA


sabato 5 gennaio 2013

HD